«Verso una piena presenza». Il Dicastero per la Comunicazione pubblica una Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media

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Si intitola «Verso una piena presenza» il primo documento che la Chiesa dedica espressamente alla comunicazione con i social media. Si tratta, come afferma il sottotitolo, di una «Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media», che offre una lettura pastorale della presenza cristiana nell’ambiente social-mediale. Pubblicata lo scorso 28 maggio, nella solennità di Pentecoste, la Riflessione pastorale porta la firma di Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la Comunicazione, e di mons. Lucio Adrián Ruiz, segretario del medesimo Dicastero.

Accanto al documento, è stato pubblicato anche un sito web, fullypresent.website, pensato come una piattaforma di condivisione di esperienze.

🔽 «Verso una piena presenza» – Word

🔽 «Verso una piena presenza» – PDF

🔗 «Verso una piena presenza» – Web

🔗 Sito web fullypresent.website

🔽 Sommario (dal sito fullypresent) – PDF

🔽 Domande per la riflessione (dal sito fullypresent) – PDF

 

Perché questo documento?

Il tavolo dei relatori alla presentazione di «Verso una piena presenza». Da sinistra: suor Veronica Donatello sfa (consultrice del Dicastero per la Comunicazione) monsignor Lucio Adrián Ruiz (segretario del Dicastero), Paolo Ruffini (prefetto del Dicastero) e suor Natalie Becquart (componente del Dicastero per la Comunicazione).

Nella presentazione della Riflessione pastorale, Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione, ha esordito precisando che il documento è destinato a tutti, non solo ai credenti o ai professionisti, e che la sua genesi si pone come risposta alle domande rivolte nel tempo “dal basso” al Dicastero che egli guida.

«Sta a noi trasformare il mondo dei social liberandolo dai dogmi unilaterali delle aziende che lo gestiscono, per riconsegnarlo al bene comune, alla condivisione gratuita»

Paolo Ruffini

Il prefetto illustra il documento come frutto di una riflessione teologico-pastorale, il cui «focus è l’uomo e non la macchina, il cuore non l’algoritmo. Sta a noi rinegoziare le regole, riappropriarci delle relazioni, per passare dalla connessione alla condivisione», sottolinea. È il tempo di una «rinegoziazione consapevole», spiega. È un documento dunque che non parte dalla tecnologia e che non contiene raccomandazioni precise, consigli pratici. «Non è un direttorio, una sorta di guideline pratico funzionale».

«La tecnologia mai e in nessun modo è neutra, quindi è essenziale il giudizio critico»

mons. Lucio Adrián Ruiz

Il segretario del Dicastero per la Comunicazione, monsignor Lucio Adrián Ruiz, accenna a ciò che i Papi, da Paolo VI in poi, hanno detto sui social media. Ruiz ripete che la nostra cultura è fatta di presenzialità e di virtualità, che questo è il nostro spazio dove trovare uomini e donne per l’annuncio del lieto messaggio: è la nostra terra di missione. «Il documento – afferma mons. Ruiz – vuole avviare un processo».

 

Il testo

Il testo, molto agile, si articola in 82 punti racchiusi in poche pagine. Lo stile è scorrevole, a tratti discorsivo e mai tecnico, sebbene il documento tocchi alcuni temi – fake news, intelligenza artificiale, algoritmi, echo chamber, polarizzazione – piuttosto presenti nelle dinamiche social-mediali odierne. Lasciandosi guidare dall’icona evangelica del Buon Samaritano (Lc 10,25-37), la Riflessione pastorale si sviluppa in quattro diversi filoni.

  1. Attenzione alle insidie sulle “strade digitali”, che, citando il Vangelo di Luca, invita i frequentatori dei social media ad assumere la prospettiva «di colui che è caduto nelle mani dei briganti»;
  2. Dalla consapevolezza al vero incontro, per imparare, con il giusto discernimento, da colui che ha avuto compassione;
  3. Dall’incontro alla comunità, per estendere il processo di guarigione a tutte le persone incontrate nel “continente digitale”;
  4. Uno stile distintivo, per una testimonianza creativa e credibile che parte proprio dal digitale.

 

Dentro la Riflessione pastorale

Davvero il Vangelo parla a ogni ambito della vita umana, comprese le nuove modalità di comunicazione. Il parallelo con le scene della parabola del Buon Samaritano attraversa l’intero documento, secondo un’intuizione che mette in luce innanzitutto le situazioni di disparità che spesso si verificano sui social media. Al centro ritorna la dignità dell’interlocutore, persona spesso sconosciuta ma a cui – come il Buon Samaritano – siamo chiamati a sentirci prossimi.

«Quando gli individui non si trattano gli uni gli altri come esseri umani, ma come mere espressioni di un certo punto di vista che non condividono, siamo di fronte a un’altra espressione della “cultura dello scarto”»

Verso una piena presenza, 19

«Accogliere l’“altro”, cioè qualcuno che assume posizioni opposte alle mie o che sembra “diverso”, non è certo un compito semplice. “Perché dovrebbe interessarmi?”, potrebbe essere la nostra prima reazione. Possiamo ritrovare questo atteggiamento anche nella Bibbia, a partire dal rifiuto di Caino di essere il custode di suo fratello (cfr. Gn 4,9) e proseguendo con lo scriba che chiese a Gesù: “E chi è il mio prossimo?” (Lc 10,29). Lo scriba intendeva stabilire un limite riguardo a chi è e chi non è il mio prossimo. Sembra quasi che vogliamo trovare una giustificazione per la nostra indifferenza;»

Verso una piena presenza, 20

Per fare questo, il documento ribadisce a gran voce il primato «dell’ascolto e della consapevolezza di trovarsi davanti a un’altra persona». Ecco, quindi, la sfida esplicita: come il Buon Samaritano, abbattere il «divario sociale» superando la dicotomia tra accordo e disaccordo. La comunicazione, in questo contesto, viene intesa come un atto «non solo pratico, ma spirituale», che nasce da uno sguardo contemplativo e un cuore misericordioso, ingredienti che cercano in ogni modo di incontrare l’interlocutore sul terreno delle idee e, in seconda istanza, facendo trasparire la testimonianza personale.

«Tutto ciò che condividiamo nei nostri post, commenti e like, attraverso parole pronunciate o scritte, con filmati o immagini animate, deve essere in linea con lo stile che impariamo da Cristo, che ha trasmesso il suo messaggio non solo con le parole, ma con tutto il suo stile di vita, rivelando che la comunicazione, al suo livello più profondo, è il dono di sé nell’amore. Pertanto, il come diciamo qualcosa è importante esattamente come il che cosa diciamo.»

Verso una piena presenza, 65

In definitiva, sui social media l’altro è un interlocutore che richiama un’Alterità con la maiuscola, da ascoltare e incontrare, curare e amare. Certamente – e il documento lo richiama – è necessaria una prudenza che va oltre all’impulso dato dalla tastiera: «Lo stile cristiano – si legge al paragrafo 75 – deve essere riflessivo, non reattivo, anche sui social media».

«Noi cristiani dovremmo essere conosciuti per la nostra disponibilità ad ascoltare, a discernere prima di agire, a trattare tutte le persone con rispetto, a rispondere con una domanda piuttosto che con un giudizio, a rimanere in silenzio piuttosto che scatenare una controversia e a essere “pronti ad ascoltare, lenti a parlare e lenti all’ira” (Gc 1,19). In altre parole, tutto ciò che facciamo, nelle parole e nei fatti, deve recare il segno della testimonianza.»

Verso una piena presenza, 77

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